La panchina e l’albero, alla diga di Santa Maria
Questa strana estate che mi sfugge sempre più, è fatta di piccole gite nei luoghi del cuore.
In un periodo così importante, dove mai come ora è necessario essere “ecologici” nella propria vita (buttando il superfluo, scoprendo cosa è davvero essenziale, e magari facendo una buona raccolta differenziata con qualche riciclo creativo) trovo che la Natura ha sempre il consiglio giusto da darmi.
Il mio amore per l’Appennino, per chi mi segue, è più che conosciuto.
Sono andata alla diga di Santa Maria (Castiglion dei Pepoli) la prima volta 10-12 anni fa, quando decisi di realizzare il Taccuino di Viaggio dell’Appennino Tosco Emiliano.
Allora non riuscii a includere questa tappa tra le sue pagine, ma mi colpì tanto, ieri come adesso, questo abbraccio tra il tronco e la panchina.
Ci sono tornata appositamente qualche giorno fa e stavolta ho voluto rendergli omaggio.
Tra l’altro non vedevo l’ora di provare i nuovi acquerelli vegetali prodotti da Marco Fantuzzi
Di questo parlerò sicuramente in un post dedicato, dato che ho partecipato a un suo meraviglioso corso di estrazione di pigmenti vegetali. Ma essendo materia così preziosa e con un proprio carattere, preferisco fare una conoscenza più intima con essi, e parlarne più in là.
Sul piccolo lago di Santa Maria c’è un grazioso punto ristoro, quieto e curato, e un percorso da fare attorno al lago, una piccola escursione naturalistica. I suoi fratelli più grandi, Brasimone e Suviana, sono più conosciuti… ma vale davvero farci un giro, leggere un libro sulle panchine lungo la riva, sorseggiando qualche cosa di fresco.
Ma è per lei, la panchina, che sono andata.
La Natura, dicevo, mi è sempre più maestra, a saperla ascoltare.
Il tronco, nel tempo, non solo ha inglobato la panchina, ma l’abbracciata, silenziosamente, ironicamente, dignitosamente. Ci si è “liquefatto”, ammorbidito sopra… facendone una sua caratteristica. Sembra perfino comodo con quello che è in realtà un ostacolo alla sua espansione, un qualche cosa che lo ferisce.
Lo ha deformato, è vero… anche a noi del resto, ferite, traumi, dolori, ci cambiano forma (con cicatrici ora nel corpo, ora nell’anima…).
Ma nella sua deformazione… è Bello.
Io l’ho voluto ritrarre proprio perchè è deformato, ma armonicamente… comodamente, sulla “sua” panchina.
E allora penso proprio alle mie ferite, agli ostacoli, alle ombre e ai mostri… e torno sempre lì… alla “lezione da imparare”.
E più osservo gli Alberi, più mi sento di aver tanto, tanto, tanto da apprendere da questi Saggi che ci regalano la vita e l’ossigeno-
Qui il VIDEO che ho realizzato sul mio canale Youtube.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!